Anche le scimmie cadono dagli alberi di Alessandro Berselli

coverAnche le scimmie cadono dagli alberi è un libro divertente, dissacrante, sarcastico, cinico, icastico e assolutamente politicamente scorretto. La storia è quella di un trentenne o poco più, Samuel Ferrari, che annovera nella triade delle cose più importanti della sua vita la musica, il sesso e lo sport – quello passivo ovviamente (lo sport non il sesso!). Ma non è un personaggio precario, ha un lavoro ben retribuito in una multinazionale, due amicizie virili importanti, una delle quali nel suo ambiente lavorativo, un appartamento piuttosto sudicio e polveroso («Guardo le lenzuola. Da quant’è che non le cambio? Un mese? Due mesi?») dove vive da solo a parte Giada che sembra averci piantato le tende per un po’. Giada, la sua attuale non si capisce bene cosa, bah, diciamo storia. Samuel è un personaggio riuscitissimo, è uno zero assoluto, non gli importa di niente e di nessuno, sistematicamente si concentra nel fare la scelta sbagliata e se il destino, la fortuna, il fato – fate voi – gli dà un’altra possibilità, riesce immancabilmente a fare peggio. Ma fa ridere e il lettore non può che immedesimarsi e perdonargli tutto e viaggiare nel suo universo fatto di musica rock alternativa e punk new wave anni ottanta, di riflessioni sciocche, frivole, banali e divertenti che riempiono il libro di modi di dire, di proverbi, anche giapponesi come quello che dà il titolo al romanzo. Scelta quanto mai azzeccata visto che dovrebbe significare “tutti sbagliano”. Sì perché Samuel, anche se non lo sa, è a suo modo un ribelle che non fa mai la cosa giusta e che non rispetta le regole anche quelle dettate semplicemente dal buonsenso, tant’è che lo conosciamo mentre ci prova con una donna giapponese mentre questa è al funerale della propria figlia! Ma il libro ha un ritmo scoppiettante, ben scandito da capitoli brevissimi come se si trattasse di una sceneggiatura: battute feroci, cambi repentini di scena, molti personaggi ma talmente ben caratterizzati da diventare immediatamente reali e visibili. Vorrei scrivere qualcosa di azzeccato sui personaggi femminili che popolano il pianeta Samuel Ferrari. Ma credo di partire già sconfitta. È assolutamente indispensabile leggersi il libro. Sono ragazze e donne con idee ben precise che perseguono con la stessa costanza con la quale il protagonista si infila a capofitto in situazioni assurde e quasi surreali. Per quanto mi riguarda ho adorato Violet, la sorella del protagonista, le cui decisioni fondamentali nascono per caso, su un’idea del momento o, meglio ancora, grazie o a causa di una situazione in cui si è trovata per caso. Lei vive la vita nel modo più stralunato che si possa riuscire ad immaginare con un candore e un’ingenuità che, davvero, non fanno parte di questo mondo. Il romanzo a me ha ricordato alcune sit-com di qualche anno fa come Friends o Scrubs, ma anche un film dal titolo Clerks-Commessi di Kevin Smith, di fine anni novanta, per il ritmo, il linguaggio, le situazioni, il modo di parlare del sesso. A volte nel romanzo di Berselli lo humor è british, specie nell’incipit ma forse perché siamo ad un funerale. Un ultimo accenno. Si parla molto di musica ma anche di libri. A pagina 128 scopriamo che il genere preferito del protagonista è l’horror e il noir «Tutto Stephen King, qualche americano tipo Lansdale e McEwan, i minimalisti degli anni Ottanta, la generazione X.» e sul comodino, per tutta la durata del romanzo, prende polvere un libro di Cormac Mc Carthy. Non si sa quale sia il titolo, l’autore non ce lo dice esplicitamente ma a me ha fatto pensare a La strada, un romanzo post apocalittico dove tutto è ridotto all’essenziale, dall’ambientazione, alle esigenze legate alla pura sopravvivenza, al linguaggio privo di orpelli e di sovrastrutture. Nel romanzo di Berselli invece vige la sovrabbondanza, soprattutto legata alle riflessioni e alle elucubrazioni assolutamente folli e devianti del protagonista e del mondo che lo circonda.   Elena Zucconi

Un caffè con Macchiavelli

Loriano e ElenaFare quattro chiacchiere con Loriano Macchiavelli è sempre un’esperienza ricca e appassionante e, talvolta, mi dà la sensazione di aver viaggiato nel tempo.

Il suo Sarti Antonio, sergente è nato ben quarant’anni fa: da quarant’anni riempie gli scaffali delle librerie di libri nuovi e delle librerie di libri usati come la mia e tutti i suoi romanzi, i romanzi con Sarti Antonio, sergente intendo, danno uno spaccato della storia italiana.

Va beh, quest’ultima frase posso correggerla?

Io ero una bambina negli anni ’70 e pensare che la mia infanzia possa essere relegata ad un periodo “storico” mi fa proprio una brutta impressione, come se si parlasse di un’era geologica!

Purtroppo però nel nostro paese non c’è memoria. Lo scrive anche Loriano Macchiavelli nella prefazione al suo nuovo libro pubblicato da Einaudi: Sarti Antonio: rapiti si nasce che è un romanzo vecchio e nuovo, ma di questo parleremo dopo.

Non si ha memoria, dicevo e il fatto che ci siano moltissime giornate dedicate alla memoria dimostrano proprio questo, secondo me.

E allora i libri di Sarti Antonio, sergente diventano ancora più preziosi.

Mi sono riletta il primo, Le piste dell’attentato. Si è mai visto un personaggio principale, un protagonista, essere presentato al suo lettore, nel momento in cui l’auto in cui fa pattugliamento insieme al suo autista, Felice Cantoni, va a tutto gas perchè lui, il sergente, ha un attacco di colite e ha bisogno immediatamente del gabinetto? E di quello di casa sua, possibilmente!

Che ancora oggi, almeno a me, crea sempre un po’ d’imbarazzo chiedere dove si trova il bagno, soprattutto quando se ne ha davvero bisogno e non serve solo per incipriarsi il naso.

Basterebbe questo a far capire l’ironia e il sorriso sornione presente in tutti i suoi romanzi.

E mentre ci facciamo una visita guidata di tutti i bar e i caffè di Bologna dal 1974 in poi, assistiamo alla vita della città grazie ad un osservatore d’eccezione, lo scrittore, per il quale l’esperienza editoriale non fu così facile.

Si, perché i suoi gialli “spaccano” (per usare un termine molto popolare oggi e dai diversi significati) per tantissimi motivi.

Sono belli e questa è una mia opinione. Sono ambientati a Bologna, considerata in quegli anni una signora per bene, che Macchiavelli smaschera pubblicamente raccontandone tutti i vicoli scuri, sporchi, fatiscenti e maleodoranti.

Il suo protagonista ha un sacco di difetti e non è un supereroe. È martoriato sul lavoro da un capo che ammazzerebbe volentieri, è un single che non dice di no ad un’avventura (e che diamine!) e va bene anche a pagamento; la sua spalla (e anche qui ci sarebbe da ridire perchè in realtà non è così chiaro chi è la spalla di chi) viene definita dallo stesso Sarti Antonio, sergente «un anarchico, uno di sinistra: non ho ancora capito bene di che genere. Comunque è uno che ha una testa… Ne sa più lui di noi tutti messi insieme.» Tanto che ho pensato che ci fosse molto di Loriano Macchiavelli in Rosas che, sono convinta, riuscirebbe a mettere in crisi molti con i suoi discorsi filosoficamente pratici, che non si riconosce in nessun partito e non si sente rappresentato da nessuno. Ma lui, Loriano Macchiavelli, ha detto di no, che non si riconosce in nessuno dei suoi personaggi. Forse avrei fatto meglio a chiederlo a sua moglie Franca!

E poi si entra nella vita di quegli anni, di lotte e di manifestazioni represse a manganellate, di bombe e di attentati, con uno stile che cattura.

Ma perché scrivo tutto questo? Già, me lo chiedo anch’io… Forse è semplicemente un invito a rileggere per chi già li conosce o a leggere per chi non ci si è mai imbattuto, i romanzi di Sarti Antonio, sergente.

Possibilmente degustando un buon caffè, l’ossessione, la droga, il buonumore del protagonista. Ma come farà a farlo così buono, accidenti?

È un invito a farsi ammaliare dalle parole che vengono usate, dalle inflessioni dialettali, altra spaccatura con il passato.

E qualunque romanzo va bene per iniziare, sia pescato tra i primi sia piluccato a metà o comprando l’ultimo uscito in libreria.

A proposito. Loriano Macchiavelli ha scritto Sarti Antonio: rapiti si nasce nel 1979. Il capitolo iniziale viene diviso in più parti e utilizzato da Garzanti Vallardi come introduzione ai vari romanzi della raccolta Sarti Antonio un questurino e una città. Poi il romanzo, privo di quel capitolo, viene pubblicato nel 1985. E adesso, esattamente o quasi come lo voleva il suo autore, ricompare per Einaudi.

È un Sarti Antonio anomalo per quanto riguarda la sua struttura. Dove di solito c’è la presenza di un narratore che molto spesso diventa personaggio (si siede mentre assiste agli interrogatori, prende un caffè con Sarti Antonio, sale in macchina ecc.) in questo romanzo d’eccezione Sarti Antonio parla in prima persona. Dovrebbe essere l’unica volta, ci dice Loriano Macchiavelli.

Ma forse no, per cui se ne trovate un altro esempio, contattatelo pure.

Permettetemi un’ultimissima considerazione.

«Pistolla attorno al secchiaio.» è una frase bellissima, sempre secondo me ovviamente, che ho trovato nell’edizione Garzanti Vallardi e che, purtroppo, il correttore di bozze di Einaudi si è sentito in dovere di correggere in «gingilla attorno al secchiaio».

Che peccato! Secondo me.

Elena Zucconi