Oggi ha chiamato l’uomo dei traslochi: lunedì prossimo lasceremo questa casa dove abbiamo vissuto insieme per quasi vent’anni. Elena ed io venimmo ad abitarci appena sposati. Anzi, la prima notte la passammo proprio qui, in attesa di partire per un breve viaggio.
Ricordo che molti mesi prima avevamo comprato una bellissima lampada in vetro, che lei aveva conservato con cura, avvolgendola in carta velina. Avevamo deciso di metterla per la prima volta sul comodino quella sera. Non saprei dire esattamente come, forse perché non conoscevamo ancora questa casa tanto intimamente da poterci orientare al buio, ma al primo movimento notturno la lampada cadde frantumandosi in mille pezzi. Ci dispiacque, è ovvio, ma eravamo così felici e così stanchi per la giornata che non c’importò poi molto.
Passiamo questi ultimi giorni riempiendo scatole di differenti misure con oggetti che scoviamo ovunque e che non ricordavamo neppure di avere. Elena si occupa degli oggetti della cucina e io dei libri che sono molti e molto pesanti. Tutte le persone con cui parliamo del nostro trasloco (cambiare casa, l’ho scoperto adesso, è un atto pubblico, molto più di quanto credessi) ci invitano a fare pulizia delle cose inutili, a gettarci alle spalle quel che non ci sembra indispensabile. Per il momento abbiamo trovato solo cose inutili: pentole mai usate, sottobicchieri che riproducono vedute parigine (davvero abbiamo comprato qualcosa di così terribile?), libri mai letti, perché ne avevamo già troppi in attesa, cd che non ascoltiamo da almeno dieci anni. Eppure, non abbiamo ancora gettato nulla, salvo una copia di un vecchio contratto integrativo, ormai sorpassato. Ho scoperto che Elena ed io non siamo molto adatti a fare i pacchi: lei, mentre incarta coi vecchi numeri della Lettura i bicchieri del servito buono, regalatoci da qualche sua zia, si ferma a leggere le recensioni che per distrazione le sono sfuggite mesi fa. Io, invece, ritrovando un libro che ho amato particolarmente, non so resistere alla tentazione di rileggerne l’incipit. Poi raggiungo Elena in cucina: senti qui – le dico. Ed ecco che abbiamo trovato un pretesto per fermarci. Ora mi leggerà la recensione. L’ascolto, come lei ha fatto con me. Le pause si potrebbero moltiplicare all’infinito, ma non si può.
Domani è il giorno del trasloco. La nostra è stata una domenica molto pesante. Sono nervoso e anche Elena lo è. I gatti lo avvertono e si innervosiscono, quindi basta pochissimo per far saltare un equilibrio precario che si regge su di un filo invisibile, come quello di una canna da pesca che regge un pesce all’amo. Qui i pesci siamo noi e ogni tanto ci guardiamo e ci chiediamo chi ce l’abbia fatto fare di mettere in piedi tutto questo. Nell’ultima settimana abbiamo infilato la nostra vita in oltre sessanta scatoloni sui quali è scritta a lettere cubitali la parola “traslochi”.
Questo, che domani lasceremo, è il luogo testimone della storia di noi come coppia e degli ultimi vent’anni. È questo il luogo che ci ha visto felici ridere a crepapelle fino a star male, cantare, ballare, scherzare, ricevere la visita dei parenti e degli amici, notizie belle e bellissime. Questa è la casa dove ci hanno raggiunto le notizie che nessuno vorrebbe mai ricevere ma che nell’arco di un’esistenza a tutti possono arrivare. È questo il posto che ci ha visto piangere e sperare di essere solo un in un orribile sogno. È qui che abbiamo scoperto che la nostra coppia poteva reggere urti che da soli non saremmo stati in grado di sopportare. È tra queste mura che abbiamo scoperto, con sofferenza, che si può sopravvivere, nonostante tutto, a qualsiasi cosa.
Sono le cinque e siamo già in piedi, prima del suono della sveglia. Questo è il grande giorno. Il camion dei traslochi arriverà tra poco più di due ore, ma noi, intanto, dobbiamo portare i gatti nella nuova casa. Come avevamo immaginato, quella che si mette in scena è una vera tragedia: Harpo, mestamente entra nella sua gabbietta come un uomo che si presenti rassegnato davanti al plotone di esecuzione: è evidente che ha capito tutto; Cannella, che di solito è la più paurosa, è paradossalmente la più tranquilla. Si lascia prendere da Elena che la infila velocemente nel trasportino. Smusci tenta di ribellarsi, come può, ma la vera mattanza è rimandata al finale. Perec si agita come un pesce mentre lei lo tiene per la collottola. Infilarlo dentro sembra impossibile. Salta, si agita, graffia le mani di Elena il cui volto si riga di lacrime per il dolore fisico ed emotivo. Anche Perec ha capito, ma non vuole arrendersi e combatte fino alla fine. Fino a che anche su di lui si chiude l’inferriata di quel piccolo carcere d’isolamento. Le mani di Elena sono graffiate e sporche di sangue ma non c’è tempo. Un cerotto e siamo costretti a partire. Il viaggio è struggente, con Harpo che sembra implorarci di liberarlo e noi che cerchiamo di consolarlo. Finalmente arriviamo a Pistoia. Scarico il mio bagaglio familiare e corro a quella che oramai è la nostra vecchia casa. Alle 7,30 arrivano i traslocatori.
Tutto si svolge velocemente, in maniera pulita. I mobili vengono smontati, le scatole che abbiamo preparato vengono caricate con cura, ma celermente, sui camion che le dovranno portare verso la loro nuova destinazione. Tutto, in senso inverso, come un nastro che si riavvolge, si ripeterà più tardi, nella nostra nuova città, dai camion alla casa. Lentamente ci riappropriamo delle cose e dei mobili intorno ai quali abbiamo costruito e vissuto la nostra esistenza. Una nuova casa ci accoglie, ci attendono, con lei, nuove relazioni, un nuovo pezzo della nostra vita. Insieme e con i gatti cominciamo a perlustrare nuovi territori.
Sergio Salabelle
Voglio ringraziare il Maestro e amico Paolo Beneforti per avermi permesso di usare La finestra a specchio, una sua opera che amo molto, per illustrare questo breve racconto