Un problema con mia madre

Ogni sera, verso le sei, quando esco dall’ufficio, prima di rientrare a casa passo a fare una breve visita a mia madre. Da circa undici mesi, da quando è morto suo marito (mia madre si è risposata cinque anni fa, poco dopo la scomparsa di mio padre), è ospite in una casa di riposo per anziani, dove viene accudita da personale altamente qualificato. Non sta male, ha solo bisogno di qualcuno che si prenda cura di lei. Ultimamente ha cominciato a manifestare qualche problema con la memoria a breve termine e questo le comporta piccoli inconvenienti nella vita quotidiana.

L’avevo invitata più volte a venire a vivere da me che ho una casa grande dove  abito da solo. Il fatto di non essermi mai voluto sposare mi ha permesso di mantenere una certa indipendenza, alla quale potrei rinunciare solo per motivi gravi. Le esigenze di mia madre, però, vengono prima della mia stessa libertà. La sua presenza, poi, non mi avrebbe creato alcun disturbo e anzi la sua compagnia sarebbe potuta essere di grande aiuto anche per me, che tendo a soffrire di una certa malinconia che, in alcuni momenti dell’anno, specie in occasione di qualche festività o di una ricorrenza particolare, può rasentare persino la depressione. Mia madre non ha un carattere facile, è una donna caparbia, a tratti cocciuta e che tiene talmente alla propria autonomia da non voler correre il rischio di dipendere da un familiare, neppure se si tratta del suo unico figlio. È stata lei, un giorno, a dirmi che aveva deciso di andare a vivere all’Istituto Sant’Antonio, una casa tenuta da suore, ma con uno staff medico di primissimo livello. Si tratta, l’ho verificato personalmente, di una struttura dotata di ogni confort e molto costosa. Per sua fortuna mia madre non ha problemi economici, avendo ereditato il patrimonio del suo secondo marito, un industrialotto di provincia, pieno di soldi, mai sposato prima e senza parenti prossimi a cui lasciare i suoi beni. Io, col mio impiego modesto non avrei mai potuto mantenerla al Sant’Antonio, questo è certo. Ho dovuto quindi, mio malgrado, accettare questa sua decisione, non perché non volessi tenerla con me, ripeto, ma solo perché non mi era possibile fare diversamente.

LostBuildings18Di solito, quando arrivo al Sant’Antonio, sono abituato a parcheggiare vicino al giardino perché è lì che mia madre passa le prime ore del pomeriggio, quando la stagione lo permette. La scorgo, da lontano, sulla terza panchina da sinistra, con la chioma che ancora conserva qualche capello nero tra i molti bianchi, china sulle pagine di un libro. Ama molto leggere e io le porto sempre dei libri che compro apposta per lei. Anche oggi ne ho con me uno e non vedo l’ora di darglielo. Mi piace vedere il suo viso illuminarsi e i suoi occhi, come quelli di una ragazzina, cercare con curiosità di intuire, da una semplice occhiata alla copertina, di che libro si tratti. È questo un vezzo che le è rimasto dai tempi passati, visto che adesso non le capita più di andare in libreria. Fino a non molti anni fa, questa era una cosa che faceva quasi ogni giorno. Tornando a casa da scuola (mia madre è stata un’insegnate di latino e greco) si fermava alla libreria Santoli, in piazza, a guardare la vetrina. La scena si ripeteva sempre uguale: il librario, Giorgio, la vedeva e usciva per salutarla.

– Professoressa – le diceva – entri, vorrei farle vedere alcune novità che sono certo possano interessarla.

– Ma no, Santoli – gli rispondeva mia madre, che era stata sua insegnate molti anni prima – tu vorresti vendermi un libro ogni giorno, ma io non sono così svelta a leggerli. Comunque – aggiungeva, entrando nel negozio – fammi vedere cosa hai di così imperdibile.

Allora Santoli le mostrava tre o quattro romanzi e uno o due titoli di poesia. Se non riusciva a convincerla, calava l’asso, ovvero un saggio storico al quale mia madre non avrebbe saputo rinunciare.

Adesso sono io, che non leggo se non un giallo durante l’estate, a passare da Santoli e a farmi consigliare un libro in grado di soddisfare le attese di mamma. Giorgio, forse per scaramanzia, ogni volta mi dice che posso riportarlo, se alla professoressa non dovesse andar bene. Finora non è mai successo.

Oggi però non l’ho vista. Non era, come al solito, seduta sulla sua panchina preferita, la terza, partendo da sinistra. Immaginando che fosse nella sua camera o magari nella stanza comune, magari a giocare a carte, come faceva a volte, ho cominciato a cercarla per tutto l’Istituto.

«Buonasera Suor Clara, ha visto mia madre? Non riesco a trovarla», chiedo affacciandomi alla portineria.

Suor Clara mi invita a chiedere all’ultimo piano, in Segreteria. Lassù sanno tutto, mi assicura.

nurses-1800Appena mi presento ho come la sensazione di essere atteso. Angela, la segretaria, una donna  dall’aspetto un po’ dimesso ma con un sorriso dolcissimo, l’unica laica a lavorare nell’Istituto, mi chiede di attendere, prima ancora che io possa parlare. Alza il telefono e annuncia la mia presenza. Mi guardo intorno. L’ufficio di segreteria ha lo stesso aspetto mesto e triste di Angela, ma proprio come lei, ha qualcosa di accogliente che non riesco ad identificare immediatamente. La donna mi invita ad accomodarmi in Direzione. La stanza del direttore è enorme e arredata con mobili robusti e pesanti di un color legno scuro che le conferiscono un aria austera, quasi severa. Dietro la scrivania, stranamente, non c’è il direttore della struttura, Padre Luigi, che siede invece su un divanetto a due posti, sistemato sul lato sinistro dell’ufficio, ma il direttore sanitario, Vitelli, che mi accoglie con un sorriso tirato e la gestualità un po’ impacciata che avevo già notato nel nostro primo e unico incontro, che risale ormai a quasi un anno fa. Nonostante il sorriso, la sua faccia è triste e lo sguardo inespressivo, tipico del burocrate di mezza età. La cravatta a pois piccolissimi attira immediatamente la mia attenzione e mentre la osservo avverto la sensazione che possieda un oscuro potere ipnotico.

Il professor Vitelli, col tono stridulo della sua voce, mi invita ad avvicinarmi e a sedermi in una delle poltrone posizionate davanti alla grande scrivania. Sul ripiano, completamente sgombro, salvo pochissimi oggetti di cancelleria assolutamente indispensabili, noto solo una vecchia foto incorniciata che immagino ritragga Padre Luigi da giovane, magari al seminario, e una bottiglia di acqua minerale contenente un liquido giallastro e denso che sul momento non riesco ad identificare.

«L’ho fatta entrare – mi dice Vitelli con lo sguardo bovino rivolto verso degli incartamenti che finge di computare – per darle una notizia che non le risulterà, temo, gradita. Devo infatti dirle – mi apostrofa prima che possa intervenire in alcun modo – che sua madre ha avuto un problema.»

«Un problema? Posso sapere di che si tratta?»

«Le dico subito che l’Istituto non c’entra in questo e che, pur essendo a sua totale disposizione per qualunque esigenza lei possa manifestare, la nostra struttura è assolutamente estranea ai fatti. Anzi, ho qui un modulo standard che la inviterei a compilare in ogni sua parte…»

«Un modulo, dice? Non capisco. Dov è mia madre, posso vederla?»

«Sua madre, veda Baroni, sua madre… si è liquefatta»

«Liquefatta?» gli faccio eco io piuttosto perplesso.

«È stato il nostro direttore ad accorgersene. Facendo il giro delle camere per dare la benedizione del mattino, ha notato che la signora non era a letto, e che una chiazza di liquido giallastro si trovava vicino al lavabo della camera. Probabilmente, quando tutto è successo, sua madre stava facendo la toilette.»

«Scusi, che intende esattamente per liquefatta?»

Vitelli allunga il braccio e prende la bottiglia, mettendola al centro della scrivania.

«Beh, guardi che si tratta di un fenomeno raro, ma che può capitare.»

«Onestamente, è la prima volta che ne sento parlare»

«Beh, questo dipenderà forse dal fatto che la gente non parla volentieri dei fatti propri. E poi, come le ho detto, si tratta di un fenomeno molto raro. Comunque sia, questo non è assolutamente il primo caso. Anzi, si tratta di una patologia assai nota. Pensi che anche Nino Bixio si era liquefatto.»

«Nino Bixio? Che c’entra Nino Bixio?»

Il professor Vitelli mi guarda ma non risponde.

«Può portarla a casa, a questo punto», mi dice osservando mestamente la bottiglia.

«Quindi mia madre è morta»

«Ma no, che dice? Può sentirla. Sua madre sta benissimo ed è perfettamente cosciente e in grado di intendere e di volere. Si tratta solo di una mutazione di stato che, benché irreversibile, non rappresenta né un miglioramento né un peggioramento nel quadro clinico della paziente. Nulla è cambiato. Lei potrà continuare a parlarle e ad avere delle relazioni con sua madre, come se fosse allo stato solido. Le prenda, magari una bottiglia più adeguata, in cui possa stare meglio. L’umore è importante, in questi casi. Vedrà che il vostro rapporto, seppur mutato, potrà dare ad entrambi delle soddisfazioni notevoli. Altro che morta. Pensi che il Foscolo ha composto, essendo ridotto allo stato liquido, come sua madre, numerose poesie e alcune persino degne di nota. Cerchi di entrare in contatto con lei e vedrà che tutto si risolve.»

«Devo conservarla in frigo?»

«Ma certo che no, mica stava in frigo sua madre, prima. Magari, ogni tanto, tipo una volta ogni quindici giorni, agiti il contenuto in maniera da evitare che si formi del residuo sul fondo.»

Arrivato a casa, servendomi di un imbuto, ho travasato mia madre in una bottiglia che le piace molto e che ho comprato alcuni anni fa, durante una gita che abbiamo fatto insieme a Venezia. Si tratta di un contenitore in vetro di Murano, per liquore, e benché mamma sia totalmente astemia, sono certo che si sentirà perfettamente a suo agio in questa sua nuova dimora.

L’ho appoggiata momentaneamente in una vetrina che tengo in salotto, e dove conservo solitamente piatti e bicchieri del servizio buono, avendo l’accortezza di lasciare aperta l’anta dietro alla quale si trova. Poi mi sono seduto sulla poltrona e ho cominciato a leggere ad alta voce il romanzo che avevo scelto per lei.

Sergio Salabelle

Incontro con Marco Rossari

Sabato 16 aprile alle 18 alla Libreria Indipendente Les Bouquinistes in via dei Cancellieri 5 a Pistoia, Jacopo Narros incontra lo scrittore Marco Rossari per conversare insieme intorno al volume Piccolo dizionario delle malattie letterarie (ITALOSVEVO, 2016)

02-ROSSARI-twitter15x15-w001Torna la storica casa editrice ITALOSVEVO con la Piccola biblioteca della letteratura inutile, collana che spazierà fra saggistica dissacrante e letteratura filosofica, fra pamphlet e divertissement, fra scritti morali e opere critiche.
Primo titolo è Piccolo dizionario delle malattie letterarie di Marco Rossari, scrittore e traduttore che mette in fila alcune patologie della scrittura.
Sin dalla copertina il lettore scopre l’esistenza della Sindrome di Salinger un “terribile squilibrio che spinge il paziente a isolarsi, sebbene nessuno lo stia cercando”. Il Metodo di Proust, invece, è un “prezioso rimedio contro l’Alzheimer con agevole bugiardino in sei volumi”.
12967511_1069476243091042_3710816714655658376_oChe dire poi del Flagello di Céline “morbo che spinge a uno spropositato uso dei puntini di sospensione” oppure del Morbo di David Foster Wallace, questa “perniciosa tendenza dell’intellettuale stremato a trovare più interessanti le note del testo”?
A Les Bouquinistes ne parleranno insieme l’autore Marco Rossari e Jacopo Narros, che dei folli letterari di Charles Nodier è il traduttore e curatore dell’edizione italiana.
La locandina è di Tirez sur le graphiste
 
info: lesbouquinistes@libero.it oppure 3287432522